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Restituire la terza dimensione

Il modo più semplice per simulare la visione tridimensionale è quello di ricorrere al sistema anaglifico. Alle due immagini vengono sovrapposti filtri di diverso colore, tipicamente rosso per l’occhio sinistro e azzurro ciano per il destro, fondendole poi in un’unica immagine. Questo metodo, utilizzabile anche per la stampa di immagini su carta, ha il vantaggio di non richiedere attrezzature particolari per la presentazione su schermo o sul televisore: per percepire il senso di tridimensionalità è sufficiente che l’osservatore indossi un paio di economici occhialini con filtri colorati. Il maggiore difetto è la resa cromatica, che è inevitabilmente penalizzata dal fatto che i filtri lasciano comunque passare una certa quantità dei colori che dovrebbero bloccare, per cui è abbastanza frequente notare sbavature in corrispondenza dei colori più saturi, in particolare il rosso.

Un buon campionario di immagini realizzate con la tecnica anaglifica si può trovare all’indirizzo http://3dparks.wr.usgs.gov.
Una resa migliore dei colori si può ottenere utilizzando una coppia di proiettori dotati di filtri polarizzatori orientati in direzioni perpendicolari fra di loro: per la visione sono sufficienti occhiali anch’essi dotati di filtri polarizzatori orientati nelle due direzioni. Le due proiezioni devono essere sincronizzate e, se si utilizzano filtri polarizzati circolarmente, è possibile inclinare  la testa senza perdere l’effetto di profondità, al contrario di quanto accade con i polarizzatori lineari.

Il sistema attualmente più utilizzato nelle sale cinematografiche è quello sviluppato dalla RealD, e si basa sull’impiego di un solo proiettore al quale è anteposto un filtro polarizzatore controllato elettronicamente. I fotogrammi per l’occhio destro e quelli per il sinistro sono proiettati in sequenza, con una cadenza tripla rispetto a quella con cui sono state fatte le riprese, in modo da ridurre il più possibile lo sfarfallio delle immagini. Tutte le tecniche che prevedono l’impiego di filtri polarizzatori richiedono l’utilizzo di particolari schermi metallizzati che, oltre a garantire la conservazione della polarizzazione, compensano la perdita di luminosità del proiettore dovuta al filtro polarizzatore.

Tecniche più raffinate, utilizzabili anche con i normali monitor da computer, comportano l’impiego di costosi occhiali attivi dotati di otturatori a cristalli liquidi. Anche in questo caso le immagini per i due occhi sono proposte in sequenza, oscurando alternativamente un occhio o l’altro in sincronia con le immagini proiettate.

Tutte queste tecniche richiedono l’impiego di speciali occhiali per la visione, ma sono già in commercio monitor autostereoscopici che sfruttano uno schermo lenticolare sovrapposto a un normale pannello a cristalli liquidi. Le immagini destinate alla proiezione su schermi autosteroscopici devono essere opportunamente trattate e per rappresentare ogni pixel dell’immagine sono necessari più pixel dello schermo, tipicamente almeno nove, per cui la risoluzione si riduce parecchio.

Inoltre, la percezione della tridimensionalità è possibile solo a una distanza ben precisa dallo schermo e richiede un minimo di tempo per l’adattamento degli occhi ogni volta che si sposta la testa. Gli schermi autosteroscopici non sembrano quindi poter avere un futuro molto promettente, ma la ricerca di sistemi di presentazione delle immagini tridimensionali che non comportino l’uso di speciali occhiali è uno dei settori nei quali si sta investendo maggiormente.

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