Home Apple Quando il gioco si fa serio: dai videogame ai “serious game”

Quando il gioco si fa serio: dai videogame ai “serious game”

È probabile che abbiate già sentito parlare di una sorta di riscoperta del gioco in attività normalmente considerate “serie”. I giochi hanno sempre suscitato l’interesse del mondo legato alla formazione (in azienda, nel management, a scuola come supporto ai processi cognitivi e didattici), ma solo di recente questo interesse ha conosciuto una spinta eccezionale e ha trovato adeguate formulazioni teoriche. Il tema del gioco e del suo impiego in contesti “seri” ha oggi assunto le sembianze della gamification e dei serious game. Conferenze e seminari sul tema si diffondono per cercare di rispondere a queste domande: come agganciare all’universo dei giochi i meccanismi per sviluppare la motivazione, per addestrare il personale e per aumentare la sua esperienza? A quali impieghi può rispondere in un contesto aziendale? È una tendenza seria destinata a durare o una moda passeggera? Cerchiamo di capirlo fornendo anche le informazioni indispensabili per orientarsi in questo campo.

Gamification e serious game
Cominciamo a evidenziare che con il termine gamification si intende l’utilizzo di meccaniche e di dinamiche tipiche dei videogame e dei giochi elettronici, ma all’interno di contesti reali come il lavoro, il consumo e – non ultima – l’istruzione. Il termine è inglese e a oggi non si è trovata una traduzione italiana convincente: si è tentato di tradurlo con ludizzazione, ma in genere si preferisce utilizzare il termine originale. In molti casi si parla di serious game o di “giochi seriosi”, espressione forse non troppo felice. L’aggettivo serious (serio) è generalmente anteposto a game e fa riferimento a prodotti usati da settori come la difesa, l’istruzione, la ricerca scientifica, l’assistenza sanitaria, la gestione delle emergenze, l’urbanistica, l’ingegneria, la politica e così via. I serious game sono stati progettati allo scopo di risolvere un problema: anche se possono essere divertenti, il loro compito principale è quello di formare, di indagare o di pubblicizzare. Mentre i generi dei videogiochi sono classificati per gameplay, i “giochi seri” rappresentano una categoria che comprende giochi educativi e advergame, giochi politici e via dicendo, come illustrato nel box “Tipologie di serious game”.
Alla riscoperta di questo ambito ha contribuito in maniera massiccia la straordinaria diffusione di numerose consolle di gioco ma, soprattutto, il grande successo degli strumenti mobili di Apple come iPod e iPhone, che hanno largamente ampliato la diffusione dei videogame e hanno portato il loro impiego nelle mani di chiunque. Anche persone serie, che giudicavano il gioco elettronico con un certo distacco, si sono ritrovate a giocare, a provare l’esperienza di qualche App che, per il solo fatto di essere toccabile, sensibile ai sensori di movimento, graficamente simpatica, aveva in sé qualcosa della natura stessa del gioco. Lo stesso iPhone è “divertente”, si usa come un gioco. Il successo strepitoso dell’iPad ha fatto il resto: con questo strumento l’esperienza di gioco è cambiata completamente, guadagnando in spettacolarità e coinvolgimento. Su questa scia i giochi si sono moltiplicati e continuano a farlo ogni giorno. Non solo sempre nuovi giochi vengono proposti sul mercato, ma si diffonde una filosofia che vuole che le App in genere abbiano un aspetto e un contenuto, in qualche modo, “giocoso”.

Bisognerà misurare tutta la portata di quella che ormai sembra essere una rivoluzione sotterranea, poco nota e poco analizzata, ma la cui forza pare irresistibile: la rivoluzione che tende a trasferire la filosofia del gioco ovunque, in tutti gli ambienti, siano essi i più seri, i meno sospetti. Per questo la gamification viene di solito definita come un insieme di regole che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco. Che cosa si vuole ottenere con questo? In primo luogo si ritiene che sia possibile modificare il comportamento delle persone e che, nel caso di una impresa, questa possa suscitare un interesse attivo degli utenti-clienti per il proprio messaggio. Si tratta di un approccio che a un livello embrionale esiste da tempo, basti pensare alla classica raccolta punti, ma che solo di recente ha iniziato ad acquisire consistenza teorica e ad aprirsi a una seria riflessione in ambito educativo, formativo e lavorativo. La gamification può cambiare, ad esempio, il modo di insegnare, ad adulti e a bambini, le classiche materie: italiano, lingue straniere, storia, geografia, matematica.
Nel mondo si parla di gamification da tempo, in Italia dalla metà del 2011. È un tema d’avanguardia che attira interesse e investimenti, ma è una materia ancora tutta in divenire. A parere degli specialisti non siamo che all’inizio, si prevede che da qui al 2015 più del 50% delle aziende che gestiscono i processi d’innovazione avranno “gamificato” i loro processi.

Il gioco e il cliente
Se per gamification si intende il trasferimento dei meccanismi del gioco in domini in cui questi non sono nativamente presenti (come la formazione, il lavoro o le reti sociali), si può applicare una struttura di gioco anche a determinati rapporti azienda-cliente. Un esempio che tutti conosciamo: i chilometri (punti) distribuiti da Trenitalia con il suo programma sono convertiti in biglietti gratuiti (ricompense) e in status (Silver, Gold, Platinum), che possono corrispondere a degli “avanzamenti” di livello come in un videogioco, dove si accumulano punti e si ottengono dei privilegi, nuove opportunità, come nuove armi, oppure soldi, licenze edilizie, nuovi ingredienti e materie prime, oppure mezzi di trasporto o di lavoro, secondo il gioco al quale stiamo giocando. Il principale obiettivo di questi processi di gamificazione è quello di sviluppare la fedeltà del cliente (fidelizzazione), attirandolo non solo per i premi, ma grazie al meccanismo tipico del gioco: superamento di obiettivi, accumulo di punti, acquisizione di posizioni.

Un altro ambito è quello in cui si vogliono trasferire la struttura stessa del gioco e i suoi concetti per farne una leva sulla motivazione. In questo caso si parla di gratificazione, status, realizzazione, espressione personale (creatività), competizione e altruismo. Tutte meccaniche insite, in varia misura, nelle più classiche forme di game. In questo campo abbiamo numerosi esempi, primo fra tutti quello della nota azienda francese L’Oréal e del suo Hair-Be12, un gioco di simulazione in 3D sulla gestione di un salone di parrucchiere. Sviluppato da L’Oréal con RedDivision, è un browser game (si utilizza attraverso un sito dedicato, www.hair-be12.com) che si presenta come un vero e proprio strumento di addestramento e di simulazione per fare esperienza. Il giocatore deve attraversare 12 episodi-provedefinite in vari ambiti (dal rapporto con il cliente allo sviluppo della rivendita prodotti, dalla riunione alla gestione di una giornata nera…) ottenendo man mano il suo punteggio suddiviso in varie aree di criticità (rapporto con il cliente, consulenza, fidelizzazione, salute/sicurezza e booking). Naturalmente viene valutato anche il fatturato virtuale realizzato in ciascun episodio. Attraverso questa serie di percorsi, il gioco si propone di raggiungere i seguenti obiettivi: migliorare i comportamenti dei collaboratori dei saloni di acconciatura; offrire un’introduzione alle nuove tecniche di merchandising; simulare i servizi offerti in un salone di acconciatura; mettere in evidenza le varie problematiche esistenti, quali il rapporto con i clienti, la fidelizzazione, il marketing.


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