La maggior parte degli utenti gioca esclusivamente con giochi iOS che non costano nulla. Qualsiasi analisi o sondaggio lo conferma e questa non è del tutto una bella notizia: se è vero che non pagare evita la spiacevole sensazione di aver speso un paio di euro per un gioco inutile, è altrettanto vero che la qualità si paga e un titolo coinvolgente e ben giocabile deve essere in qualche modo remunerato. Ma ci sono le eccezioni: giochi gratuiti ben fatti che hanno adottato il modello freemium senza trasformarlo in un’ossessione o che sono gratuiti e basta. Noi ne segnaliamo alcuni che dovrebbero trovare spazio sui vostri iPad. Perché giocando uno schermo grande è sempre un bel vantaggio.
Crossy Road è un titolo già molto popolare che sembra la trasposizione contemporanea del vecchio Frogger degli anni Ottanta. Allora c’era una ranocchia bidimensionale 8-bit, ora c’è un galletto simil-3D in prospettiva isometrica. Lo scopo del gioco però è lo stesso: aiutare il piccolo protagonista ad attraversare la strada. Dove “la strada” è un concetto ampio: è una successione di strade asfaltate, corsi d’acqua e binari decisamente molto trafficati. Tanto che evidentemente non riusciremo mai a finire la nostra traversata, ciò che possiamo fare è giusto andare più avanti possibile. I controlli sono semplici: un tocco per saltare (con tanto di versetto del protagonista virtuale) e uno swipe a destra o sinistra per muoversi nella stessa direzione. Nel giudizio positivo sul gioco contano molto la grafica, semplice ma gradevole, e la poca intrusività del modello freemium: il gioco è pieno di elementi collezionabili ma è anche generoso di monete virtuali, per cui non c’è grande spinta a spendere euro veri.
Che non sia un titolo serio lo si capisce dal titolo, un misto fra “does not compute” (qualcosa come “non mi torna”) e “commuter”, ossia il pendolare. Iniziamo guidando un veicolo che deve andare da un punto di una piccola cittadina all’imbocco di una strada: i controlli sono molto semplici (si tocca a destra per curvare a destra e a sinistra per curvare a sinistra) e non ci sono problemi a compiere il primo tragitto entro il lasso di tempo prefissato (60 secondi). Poi entriamo nei panni di un secondo personaggio che, sempre nello stesso quartiere, deve fare un percorso diverso. È semplice anche in questo caso, solo che è come fossimo tornati indietro nel tempo (ma non lo hanno fatto i nostri 60 secondi) e quando partiamo per il secondo percorso parte anche il nostro alter ego precedente con il suo. Lo stesso accade con un terzo personaggio, un quarto, un quinto e via dicendo. Ogni livello è composto da circa 15 personaggi con il loro veicoli e i loro percorsi, quindi il quartiere si fa sempre più affollato e noi abbiamo sempre più fretta perché il monte iniziale di 60 secondi sta per scadere. Anche questo è un gioco quasi endless, nel senso che la probabilità di scontrarsi con qualcuno cresce sino alla certezza, ma ci sono dei checkpoint che permettono di salvare quanto fatto (nella versione a pagamento).
È un “gemello diverso” di Crossy Road, nel senso che anche in questo caso ci troviamo a pilotare un animaletto lungo un percorso quasi obbligato, solo che in questo caso l’ispirazione anni Ottanta è più da Q*Bert perché ci possiamo muovere solo lungo le diagonali di un mondo a piramide isometrica. Altra similitudine è che anche Down The Mountain non ha una fine vera e propria che non sia la nostra morte, ma qui iniziano le differenze: come altri endless-ma-non-troppo, anche Down The Mountain ha uno schema a obiettivi successivi (resta vivo dieci secondi, conquista un certo numero di stelle, tocca le piattaforme di un certo tipo…) che dà il senso della progressione. La specificità di Down The Mountain sta nel fatto che è molto più difficile di Crossy Road: se lì il nostro pennuto deve solo evitare di essere investito, qui la nostra (all’inizio) mucca cuboide deve ragionare su quale tessera saltare e deve farlo in fretta, perché il terreno le scorre letteralmente sotto i piedi. E ci sono vari tipi di tessere: di lava bruciante, con punte metalliche mortali, velenose, che invertono la direzione dei controlli e via dicendo. Così le partite a Down The Mountain sono divertenti, ma spesso anche brevi.
KANO è un gioco dove contano la velocità e i riflessi. Non ci sono strategie da seguire o meccanismi di gioco particolarmente elaborati. E anche in questo caso siamo davanti a un endless game sotto mentite spoglie, perché quando uno schema di gioco inizia l’unico modo per uscirne è arrivare alla fine delle nostre “vite”. Il gioco si svolge sulla cima di un vulcano dei mari del sud, a giudicare dallo stile da maschera polinesiana dei personaggi del gioco: quattro solidi geometrici colorati che, uno alla volta, saltano rimbalzando su una piattaforma altrettanto colorata. Siamo noi a controllarla e lo scopo del gioco è far atterrare la maschera attiva in quel momento sul riquadro della piattaforma che ha lo stesso colore. Quando la maschera rimbalza però cambia colore ed ecco che noi dobbiamo ruotare la piattaforma in tempo per adattarci. Quando sbagliamo e una maschera atterra su un riquadro con il colore diverso dal suo, il riquadro scompare lasciando spazio alla lava. In più dalla lava esce un “serpente di fuoco” che dobbiamo far cadere nella lava da cui proviene, altrimenti perderemo tutti i riquadri che toccherà. Alla fine comunque perderemo i riquadri e dovremo riprendere il gioco.
Anni fa Sony inventò il mondo di LittleBigPlanet per Playstation e creò un fenomeno quasi di costume, con migliaia di giocatori conquistati dai suoi piccoli personaggi in tela di sacco – da cui sackboy, appunto – che nella versione per console erano personalizzabili in moltissimi aspetti. Run, Sackboy! Run! viene dritto da quel fenomeno ma segue una dinamica molto più semplice: è un endless run da manuale in cui il nostro Sackboy deve evitare i Negativitroni e andare avanti per il suo percorso correndo, scattando e saltando. Gli ostacoli sono i classici degli endless run, alcuni eliminano del tutto Sackboy e altri lo rallentano, con il rischio che il Negativitrone più grande lo raggiunga e faccia, anche lui, terminare il gioco. Ogni endless run deve avere una sua peculiarità per sopravvivere in un App Store che ne è pieno, questo di Sony punta evidentemente sulla simpatia del protagonista che strizza l’occhio ai giocatori più piccoli (ma il gioco man mano che va avanti si fa troppo complesso per loro). Il concetto della personalizzazione qui non è spinto come in LittleBigPlanet e si esprime solo in una collezione di costumi che rappresenta anche il principale stimolo agli acquisti in-App, comunque evitabili.
Dopo tanta azione ecco un po’ di ragionamento e di gameplay senza assilli. Watercolors è un gioco dove bisogna pianificare bene le proprie mosse, anche se il meccanismo di fondo è concettualmente semplice: ogni schema è composto da alcune caselle di partenza in cui si trovano due o più colori primari (rosso, giallo, blu) e altre di arrivo in cui si trovano gli stessi colori primari e la loro combinazione (verde, viola, arancione). Lo scopo del gioco è riempire le caselle di destinazione con il colore giusto, “spennellandolo” dalle caselle di partenza come se fossero una tavolozza e tenendo conto che passando con un colore primario su una casella dove si trova già un altro colore primario il nostro “pennello” assume il colore della loro combinazione. Quindi verde se il blu passa sul giallo, viola se il blu passa sul rosso e via dicendo. Nessuno schema è veramente semplice nemmeno ai primi livelli, perché il gioco valuta la nostra abilità in due modi: non solo se riempiamo le caselle giuste con il colore giusto – il che è condizione necessaria e sufficiente per passare al livello successivo – ma anche in quante mosse lo facciamo, e questo influenza solo il punteggio del singolo livello. Ci sono schemi semplicissimi se accettiamo di compiere diverse mosse che diventano complicati se cerchiamo di superarli con il minimo possibile di pennellate. Per chi ha pazienza.
