Ditate, un anno dopo

Questione di centimetri: sul tablet si vedono di più.

Nelle ore in cui scriviamo il mondo Web, e non solo, guarda allo Yerba Buena Center di San Francisco per saperne di più sull’iPad2. Nel frattempo a queste latitudini si è materializzato un tablet made in Italy (di Telecom) e dispositivi alternativi come il Galaxy Tab sono entrati in scioltezza e breve tempo nel carnet di offerta dei provider di telecomunicazioni e in quello di consumo.

Nel giro di un anno il mondo dell’end user digitale è cambiato: per la fruizione delle informazioni, per la cultura strisciante, per l’ubiquità delle funzioni.

Un anno di tablet vuol dire tante cose, che non stiamo qui a commentare: ognuno ha la propria visione del mondo che fa apparire questi dispositivi belli, utili, futili, semplici, complessi, costosi, economici, comodi, impegnativi. Sporchi?

Il tablet ha (ri)portato nelle nostre vite, in modo più palese, questione di centimetri, di quanto abbiano fatto gli smartphone, le ditate.

Magari uno non fa caso al proprio dispositivo, ma controluce, camminando per strada, sui mezzi pubblici la mattina, nei vagoni delle metropolitane sotto le luci diafane, lo si nota: tante ditate sugli schermi che farebbero scattare in piedi, straccio e alcol in mano, una qualsiasi nostra vecchia zia, lesta a nettare, con rimbrotto incorporato.

Perché le zie non sanno che digitale, a dispetto dell’etimo, ormai significa anche impronta digitale. Perché il mondo indicizzato e a portata di indice (altro richiamo) non è quello che volevano immaginare loro.

È un mondo diverso, a portata di mano, nettamente più vasto ma forse anche per questo meno nitido.

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